Kora del Kailash

2017 © Photo Daniele Gussago

Il monte Kailash è una delle montagne sacre più importanti del mondo. Alto 6.714 m si erge dall’altopiano tibetano, alla base si trovano i laghi sacri Manasarovar e Rakshastal, di fronte si erge il bellissimo Gurla Mandhata ( 7.694). Dalle nevi del Kailash provengono le acque di alcuni dei fiumi più lunghi dell’Asia, ossia l’Indo, il Sutlej, il Brahmaputra e il Karnali, affluente del Gange. La posizione, la forma unica e l’essere la sorgente di quattro grandi fiumi ne fa inevitabilmente una montagna speciale. Il Kailash non è mai stato scalato da nessuno. E’ venerato da oltre mezzo miliardo di persone tra India, Tibet, Nepal e Bhutan appartenenti alle religioni Induista, Bhuddista, Bön e Giainista. Per i tibetani di fede Bön, il Kailash è il “Gigante di Cristallo” sul quale Thonpa Shenrab, il fondatore della religione Bön, discese sulla Terra dal cielo. Gli induisti lo considerano la dimora di Shiva che vi risiede insieme alla consorte Parvati. Per i buddisti è la dimora della divinità tantrica Chakrasamvara e della sua consorte Vajravarahi. Gli jainisti lo adorano come Monte Ashtapada, il luogo dove il grande saggio e fondatore della religione Rishabanatha ricevette l’illuminazione. I tibetani spesso paragonano la sua vetta al tetto a pagoda della reggia di una divinità o al reliquiario di un santo. Per loro come per gli induisti dell’India, il Kailash è la montagna sacra per eccellenza, quella che sognano di contemplare almeno una volta nella vita. Ritengono che il Kailash sia il centro di un mandala, o sacro cerchio, che rappresenta lo spazio divino di Demchog, dove possono recarsi per apprendere la potenza e la saggezza che li renderanno liberi dalla schiavitù della sofferenza. Il Kora, il percorso circolare che viene compiuto in senso orario attorno alla montagna sacra (in senso anti orario per i Bön), è la meta finale del pellegrinaggio, occorrono di solito tre giorni, con frequenti soste ai santuari e ai templi per pregare e compiere riti. Alcuni pellegrini tibetani, per accrescere il merito religioso della loro impresa, impiegano molto più tempo, prostrandosi a terra lungo tutto il percorso attorno alla montagna, imperturbabili di fronte alle asperità del terreno. Il punto culminante del pellegrinaggio è il Dolma La, un valico situato sul versante nordorientale del monte Kailash ben oltre i cinquemila metri di altezza, adorno di bandiere di preghiera infilate tra rocce e massi. Appena prima del valico i tibetani lasciano indietro qualcosa di sé: un capo di vestiario, una ciocca di capelli, un dente, come simbolo della propria morte e della rinascita ad una nuova vita più spirituale.

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